Tiamat e il pianeta dei Nefilim
Secondo uno studio realizzato da David Nesvory, ricercatore del Southwest Reaserch Institute del Colorado, il sistema solare una volta aveva cinque pianeti giganti gassosi invece dei quattro che conosciamo oggi. Lo studioso è giunto a questa conclusione grazie a una simulazione al computer dell’evoluzione del sistema solare primordiale. I risultati dell’elaborazione suggeriscono che il quinto pianeta gigante è stato scagliato fuori dalla sua orbita circa 4,5 miliardi di anni fa, dopo un violento incontro con la forza gravitazionale causata da un altro pianeta . Si tratta del Pianeta dei Nefilim?
Nibiru per gli antichi Sumeri era il corpo celeste associato al dio Marduk. Il nome deriva dalla lingua accadica e significa punto di attraversamento o di transizione. Lo scrittore Zecharia Sitchin, sulla base di una propria interpretazione delle scritture sumeriche, giunge alla convinzione che Nibiru sia un diverso e sconosciuto pianeta realmente esistente. Nella sua costruzione teorica affianca al pianeta Nibiru il pianeta Tiamat. Quest’ultimo sarebbe esistito collocandosi tra Marte e Giove. Egli suppone che fosse un fiorente mondo con giungle e oceani la cui orbita fu distrutta dall’arrivo di un grande pianeta che attraversò il sistema solare tra i 65 milioni e i 4 miliardi di anni fa.
L’impatto avrebbe creato il pianeta Terra, la luna e la fascia degli asteroidi. Tiamat sarebbe stato dapprima colpito da una delle 7 lune di Nibiru, spezzandosi in due. Una di queste due porzioni sarebbe poi diventata la Terra e sarebbe stata spinta nell’attuale posizione da un altro impatto con una luna di Nibiru. In seguito l’altra metà, colpita da Nibiru stesso, avrebbe dato vita alla fascia degli asteroidi. I restanti detriti dell’impatto avrebbero dato origine alle comete. Sitchin affermava che questa teoria spiegherebbe perché la geografia terrestre avrebbe la peculiarità di avere più continenti su un lato rispetto all’altro.
Un salto nel passato alla ricerca di Tiamat
Su molti degli antichi sigilli cilindrici gli archeologi hanno trovato, sopra le figure degli dèi o degli uomini, dei simboli che rappresentano corpi celesti.
Un sigillo accadico del III millennio a.C, oggi conservato al Vorderasiatische Abteilung del Museo di Stato di Berlino (catalogato con la sigla VA/243) raffigura i corpi celesti in maniera molto diversa dalle solite rappresentazioni: essi, infatti, non si presentano singolarmente, bensì come un gruppo di undici globi che circondano una grande stella a raggi. Si tratta chiaramente di una raffigurazione del sistema solare così come lo concepivano i Sumeri: un sistema composto da dodici corpi celesti.
Di solito il nostro sistema solare viene schematicamente rappresentato come una linea di pianeti che si estendono a partire dal Sole, con distanze progressivamente crescenti.
Se però raffiguriamo i pianeti non con una linea, ma uno dopo l’altro in un cerchio (da Mercurio, il più vicino, a Venere, alla Terra e così via), ne risulta un’immagine più o meno simile a quella presentata nella figura 100 (tutti i disegni sono schematici e non in scala; le orbite planetarie nei disegni che seguono non sono ellittiche, ma circolari, per facilità di presentazione).
Se ora diamo un’occhiata a un ingrandimento del sistema solare raffigurato sul sigillo VA/243, noteremo che i “puntini” che circondano la stella sono in realtà dei globi che, nell’ordine e nella forma, richiamano quelli del sistema solare riprodotti nella figura 100. Il piccolo Mercurio è seguito dal più grande Venere; la Terra, grande come Venere, è accompagnata dalla piccola Luna.
Proseguendo in senso antiorario, si vede Marte,più piccolo della Terra ma più grande della Luna o di Mercurio . Vi è quindi un altro pianeta, a noi sconosciuto, molto più grande della Terra e tuttavia più piccolo di Giove e Saturno, che sono posizionati dopo di lui.
Ancora più in là, altri due pianeti sembrano corrispondere perfettamente a Urano e Nettuno; infine c’è anche il piccolo Plutone, che però non si trova dove lo collochiamo oggi (dopo Nettuno), ma piuttosto tra Saturno e Urano. In sostanza, dunque, il sigillo sumerico, che tratta la Luna come vero e proprio corpo celeste, mostra tutti i pianeti che anche noi conosciamo oggi, con le esatte dimensioni e nell’ordine giusto (ad eccezione di Plutone). Esso, però, che risale a circa 4.500 anni fa, ci dice anche che esisteva – o era esistito – un altro grande pianeta tra Marte e Giove. Si tratta, come dimostreremo, del Dodicesimo Pianeta, il pianeta dei Nefilim.
Se questa mappa celeste sumerica fosse stata scoperta due secoli fa, gli astronomi avrebbero concluso che i Sumeri erano assolutamente disinformati, tanto da immaginare addirittura che vi fossero altri pianeti al di là di Saturno. Oggi, però, sappiamo che tali pianeti – Urano, Nettuno e Plutone – esistono realmente, e che quindi i Sumeri non erano poi così disinformati.
È lecito, allora, ritenere che si siano inventati anche il resto – ciò che noi non conosciamo – o non è più corretto pensare che abbiano saputo dai Nefilim che la Luna era un membro del sistema solare a tutti gli effetti, che Plutone era situato vicino a Saturno, e che esisteva un Dodicesimo Pianeta tra Marte e Giove?
Prima delle varie missioni di esplorazione sulla Luna compiute dalle navette spaziali statunitensi “Apollo”, si credeva che la Luna non fosse altro che una specie di “palla ghiacciata”; nella migliore delle ipotesi, si sarebbe trattato di un frammento di materia staccatosi dalla Terra quando questa era ancora una massa informe e che, se non fosse stato per l’impatto di milioni di meteoriti che lasciarono ampi crateri sulla sua superficie, sarebbe stato un anonimo pezzo di materia, poi solidificatosi, senza vita e senza storia, destinato a seguire per sempre la Terra. I dati inviati dai satelliti, però, cominciarono a poco a poco a mettere in discussione tale convinzione: si accertò che la struttura chimica e minerale della Luna era alquanto diversa da quella della Terra, abbastanza da mettere in dubbio la teoria della “scissione”.
Gli esperimenti condotti sulla Luna dagli astronauti americani e le analisi su campioni di suolo lunare hanno stabilito con certezza che la Luna, che oggi è sterile e inaridita, un tempo era un “pianeta vivo”.
Come la Terra, essa è fatta a strati, il che significa che si è progressivamente solidificata dall’originario stato fluido. Come la Terra, poi, anch’essa genera calore, ma mentre sulla Terra il calore deriva dai materiali radioattivi, “cotti” all’interno di essa a una pressione enorme, il calore della Luna sembra derivare da materiali radioattivi posti in prossimità della superficie.
Tali materiali, però, sono troppo pesanti perché si possa pensare che siano affiorati da soli: ma allora, che cosa li ha portati tanto vicino alla superficie? Il campo gravitazionale della Luna appare alquanto irregolare, come se enormi pezzi di materia pesante (come il ferro) si fossero depositati non all’interno del suo nucleo, bensì sparsi qua e là. Ma quale processo – viene da chiedersi – o quale forza ha determinato questo fenomeno? Vi sono prove che attestano che le antiche rocce della Luna erano magnetizzate e che i campi magnetici furono modificati o invertiti.
Tutto questo è avvenuto per qualche sconosciuto processo interno, o a causa di una imprecisata influenza esterna?
Gli astronauti dell’Apollo 16 trovarono sulla Luna delle rocce (chiamate “brecce”) che derivavano dalla frantumazione della roccia solida e dalla sua rifusione in seguito a un improvviso e violento calore. Quando e come tali rocce si frantumarono, per poi rifondersi?
Altri materiali della superficie lunare sono ricchi di potassio e fosforo radioattivi, elementi rari che sulla Terra si trovano solo a grandi profondità. Mettendo insieme tutte queste scoperte, gli scienziati si sono convinti che la Luna e la Terra, formatesi più o meno con gli stessi elementi e nello stesso periodo, si sono sviluppate come corpi celesti separati. Secondo eminenti studiosi della NASA, la Luna si sarebbe evoluta “normalmente” per i suoi primi 500 milioni di anni.
Poi (come riportato su The New York Times: Il periodo di maggiori cataclismi si verificò 4 miliardi di anni fa, quando corpi celesti delle dimensioni di grandi città o piccoli stati andarono a cozzare contro la Luna, formando ampi bacini e alte montagne.
I Sumeri erano dunque nel giusto quando rappresentavano la Luna come un pianeta autonomo a tutti gli effetti. E, come vedremo, ci hanno anche lasciato un testo che descrive la catastrofe cosmica della quale parlano gli esperti della NASA.
Ed eccoci ora al cuore della nostra ricerca sugli eventi celesti primordiali: l’esistenza del Dodicesimo Pianeta. Per quanto strano possa sembrare, gli astronomi moderni non ignorano il problema e sono alla ricerca di prove che un tempo esistesse davvero questo “fantomatico” pianeta tra Marte e Giove. Verso la fine del XVIII secolo, prima ancora della scoperta di Nettuno, diversi astronomi dimostrarono che «i pianeti erano posti a determinate distanze dal Sole in base a qualche legge precisa».
Tale legge, individuata poi nella cosiddetta Legge di Bode, convinse gli astronomi che avrebbe dovuto esservi l’orbita di un pianeta dove invece non c’era, e cioè tra Marte e Giove.
Gli astronomi sono certi che tale pianeta esistesse effettivamente, ma non ne sanno spiegare la scomparsa.
Si è trattato di un’auto-esplosione? Ma allora i pezzi avrebbero dovuto volare in tutte le direzioni e non rimanere tutti in un’unica fascia.
Se è stata invece una collisione con un altro pianeta, dove si trova adesso questo secondo pianeta? È andato anch’esso in frantumi?
Ma, anche messi tutti insieme, i frammenti che ruotano attorno al Sole non bastano nemmeno a formare un solo pianeta, figuriamoci due! Inoltre, se gli asteroidi rappresentano i frammenti di due pianeti, avrebbero dovuto mantenere una rotazione assiale distinta, e invece hanno tutti la stessa, il che indica che appartengono tutti allo stesso corpo celeste.
Come ha fatto, allora, ad andare in frantumi il pianeta mancante, e che cosa lo ha mandato in pezzi? Le risposte a tutte queste domande ci vengono fornite dall’antichità.
Essere riusciti a decifrare, circa un secolo fa, i testi trovati in Mesopotamia ha significato scoprire, in modo del tutto inaspettato, che lì, in Mesopotamia, esistevano opere letterarie che non soltanto corrispondevano, ma addirittura precedevano alcune parti delle Sacre Scritture. Die Kielschriften und das alte Testament di Eberhard Schrader diede il via, nel 1872, a una valanga di libri, articoli, conferenze e dibattiti che durarono per almeno mezzo secolo.
Vi era stato dunque un legame, in un’epoca imprecisata, tra Babilonia e la Bibbia? Babel und Bible, «Babele e la Bibbia», titolavano provocatoriamente gli autori.
Tra i testi scoperti da Henry Layard fra le rovine della Biblioteca di Assurbanipal a Ninive, ve ne era uno che raccontava la Creazione in maniera non dissimile da come la raccontava il libro della Genesi. I frammenti di tavolette, rimessi insieme e pubblicati per la prima volta da George Smith nel 1876 (The Chaldean Genesis, «La Genesi dei Caldei»), dimostrarono che esisteva effettivamente un testo accadico, scritto in antico babilonese, che narrava come una collisione con il Pianeta Tiamat diede vita al Pianeta Terra.
Secondo gli Antichi testi Sumeri la vita venne introdotta nel sistema solare da Nibiru che donò <<il seme della Vita>> alla Terra
Sitchin, sulla base di un’interpretazione personale delle scritture sumeriche, giunse alla convinzione che Nibiru sia un diverso e sconosciuto pianeta massiccio. Nella sua costruzione teorica egli affianca al pianeta Nibiru il Pianeta Tiamat.
Quest’ultimo sarebbe esistito collocandosi tra Marte e Giove.Egli suppone che fosse un fiorente mondo con giungle e oceani la cui orbita fu distrutta dall’arrivo di un grande pianeta Nibiru e di una piccola stella (Nemesis) che attraversò il sistema solare tra i 65 milioni e i 4 miliardi di anni fa. La nuova orbita assunta da Tiamat avrebbe fatto sì che collidesse con Nibiru.
I detriti di questa collisione avrebbero dato vita alla fascia principale di asteroidi tra Marte e Giove, poi alla Luna e alla Terra. Secondo alcuni studiosi di Planet X, l’Asteroide 16 Psiche sarebbe un frammento di Tiamat, se non addirittura il cuore di quest’ultimo
Di solito gli asteroidi sono fatti di roccia e ghiaccio. Con il satellite della Nasa, per la prima volta i ricercatori potranno osservare e studiare un corpo interamente di metallo che si pensa sia il nucleo di un protopianeta spogliato miliardi di anni fa del suo mantello roccioso da collisioni e impatti violenti con altri corpi planetari tra Marte e Giove.
A cura di universo7p