di Enrico Baccarini©
Dopo una lunga preparazione, anni di studio e ricerche, nonché una pianificazione del viaggio rivolta a non trascurare nessun elemento di valore e interesse, recentemente abbiamo iniziato la nostra avventura in Pakistan, non scevra da qualche rischio ma carica di una grande emozione e di molte sorprese che avremmo incontrato lungo la nostra strada.
Assieme ad una troupe documentaristica composta dal regista Diego D’Innocenzo e dal Direttore della fotografia Matteo De Angelis, abbiamo iniziato la nostra avventura assolutamente inconsapevoli che saremmo andati a vivere e sperimentare le bellezze di un paese incredibilmente unico.
Il frutto di questo lavoro è andato in onda lo scorso gennaio 2014 nella trasmissione di RAI2, condotta da Roberto Giacobbo, Voyager.
Cercando di ripercorrere le tracce di un grande mistero del passato siamo giunti in alcuni dei siti archeologici più antichi del pianeta, luoghi appartenuti al popolo Harappa e alla sua misteriosa civiltà, nel tentativo di ricostruire la storia di David William Davenport, delle sue teorie nonché di analizzare i riferimenti presenti negli antichi poemi epici indiani in cui si parla di guerre e di esplosioni, di Vimana e di tecnologie estremamente avanzate.
Durante la realizzazione del documentario abbiamo inoltre avuto modo di intervistare diversi studiosi che, a vario titolo, si sono interessati alla vicenda nel corso degli anni tra questi lo scrittore inglese Graham Hancock, autore di bestseller internazionali e dell’introduzione al nostro libro I Vimana e le Guerre degli Dei; il Dr. Fulvio Terzi, amico personale di Davenport; Giorgio Cerquetti, da decenni profondo conoscitore del misticismo indiano ed infine Mauro Paoletti, scrittore e studioso dei misteri che riguardano il passato dell’umanità.
L’autore all’ingresso del sito archeologico di Mohenjo Daro e sotto un sole “cocente”!
Indubbiamente il Pakistan presenta ancora oggi i due estremi di una società divisa tra le antiche tradizioni e la modernità incalzante, due facce che si fondono in una sinergia unica talvolta contrastante e difficilmente descrivibile a parole. Questa esperienza mi ha insegnato ancor di più, però, a non dare nulla per scontato.
Come ho già avuto modo di accennare su Facebook, è stato fondamentale analizzare e sondare il “terreno” e non lasciare niente di incompiuto.
Così il primo elemento che abbiamo studiato è stata la possibile radioattività del luogo, memori delle teorie di David W. Davenport. Abbiamo portato con noi un contatore Geiger ma, nei giorni di permanenza nel sito, non abbiamo riscontrato nessuna traccia di radioattività (ho preso a campione un minimo di 3 punti equidistanti tra loro con rilevazioni multiple protratte per diverso tempo).
Altrettanto fondamentale è stato però constatare come buona parte di Mohenjo Daro (e ancor di più il così detto ‘epicentro‘) risultasse interamente cosparsa di vasellame fuso e vetrificato! Sono riuscito a portare con me alcuni campioni di roccia che sono già stati consegnati per le analisi di rito!
L’antefatto
Sono ormai svariati anni che ho direzionato i miei studi sulle teorie di David William Davenport e dei misteri indiani, chi ha potuto ascoltare le conferenze che ho tenuto su questo tema avrà avuto modo di percepire il fascino che questi territori da molti anni risvegliano in ogni animo sensibile a questi luoghi.
La possibilità di poterci essere recati personalmente nei territori studiati da Davenport e porre nuovamente sotto analisi, e per la prima volta in assoluto con strumentazioni scientifiche, quanto da lui teorizzato nel 1979 assieme al giornalista italiano Ettore Vincenti, costituiscono non una conquista personale ma un piccolo passo rivolto verso tutti coloro che vogliano comprendere e conoscere la natura degli eventi anomali avvenuti in questa zona nel 2000 a.C.
Da sinistra, David W. Davenport, Josyer e Ettore Vincenti
La teoria proposta da Davenport è certamente articolata e di non facile ‘digeribilità’ per coloro che non sono avvezzi a certe tematiche e vide pubblicamente la luce nel libro ormai introvabile “2000 a.C.: Distruzione Atomica“.
Il libro di Davenport e Vincenti oggi introvabile.
Durante il loro viaggio, sul finire degli anni ’70, i due studiosi raccolsero campioni di roccia, vasellame e monili che risultavano fusi e vetrificati.
Nessun evento naturale poteva spiegare quei ritrovamenti, nessun intervento umano sembrava in grado di poter generare una tale distruzione, a meno che Mohenjo Daro non fosse stata realmente teatro di qualcosa di diverso, una esplosione o qualcosa di simile avvenuta 4000 anni fa.
Alcuni campioni recuperati da Davenport e Vincenti dove sono chiaramente visibili le tracce di fusione (anni ’70)
Dei suoi 100.000 abitanti, dagli anni ’20 ad oggi sono stati ritrovati solo 44 scheletri, nessuna tomba o sepoltura, corpi che si presentano come muti testimoni di una morte istantanea, avvolta ancora oggi nel mistero, a cui l’archeologia non è riuscita a dare una spiegazione e che in alcuni casi presentavano addirittura segni di calcinazione come se fossero stati esposti ad una intensa fonte di calore.
Ripercorrendo queste tracce siamo giunti in luoghi ancora oggi difficilmente raggiungibili riscoprendo, forse, una verità a lungo dimenticata.
Durante le nostre analisi e riprese nel sito archeologico di Mohenjo Daro abbiamo esplorato varie aree che fin da subito sono risultate totalmente cosparse da vasellame e mattoni fusi o vetrificati, come se fossero state realmente esposte ad una fonte di calore molto elevata.
Vasellame fuso e vetrificato trovato nel dicembre 2012 (© 2012 – Enrico Baccarini)
Nella volontà di non tralasciare nessuna strada abbiamo quindi cercato e tentato di trovare una spiegazione razionale a questi eventi ma niente è riuscito a giustificare la realtà che avevamo davanti.
Parlando (in inglese) con alcuni dei responsabili del sito abbiamo potuto inoltre constatare come l’ipotesi degli “scarti di fornace” non fosse in grado, né tantomeno riuscisse, a giustificare la grande quantità ed estensione di oggetti deformati presenti nel terreno, e non neghiamo che dopo aver parlato con alcuni di loro dell’ipotesi di Davenport non ne siano rimasti affascinati. Gli scarti di fornace sono notevolmente diversi da quanto era riscontrabile nell’area e per quanto ci si sforzi ancora oggi di negare e ricondurre su binari naturali tali detriti, nessuna spiegazione è stata in grado di giustificare minimamente la loro formazione.
L’estensione di questi residui, e il mistero sulla loro formazione, sembravano realmente suggerire che un evento inspiegabile avesse colpito la città nel remoto passato.
La radioattività
Per quanto ci dividano oltre 4000 anni dall’evento atomico teorizzato da Davenport, nel caso in cui si fosse trattato di una esplosione di questo tipo, avremmo comunque dovuto rinvenire inevitabilmente tracce della sua contaminazione.
Nel loro libro Davenport e Vincenti scrivevano “… allo stato attuale della tecnologia solo un ordigno nucleare può essere stato capace di creare contemporaneamente un’onda d’urto e un’onda di calore tali da lasciare le tracce che abbiamo rilevato a Mohenjo Daro”.
Riteniamo di aver trovato le tracce di una possibile onda di calore ma perché il luogo non era radioattivo?
Personalmente pensiamo che l’ipotesi nucleare fosse l’unica che negli anni ’70, durante la Guerra Fredda, potesse spiegare e giustificare quanto trovato ma nessun altro elemento sembra aver mai comprovato questa asserzione. Le stesse analisi del ’79 fatte a Roma non parlano ‘mai’ di radioattività ma solo di vetrificazione, fusione e alte temperature.
Gli antichi testi indiani descrivono, inoltre, armi i cui effetti ricordano molto da vicino quelli di un’esplosione atomica ma è altrettanto vero che in questi stessi testi si parla specificatamente di ‘armi ad energia’, definite tejas astras, utilizzate dagli ‘dei durante le loro battaglie’. Se avvenne realmente un evento del genere è possibile pensare che la sua origine fosse diversa da quella nucleare?
Durante le nostre ricerche abbiamo identificato un’arma mitica, l’Agneya Astra, la cui descrizione sembra ricalcare e corrispondere fedelmente agli effetti descritti e osservati sul terreno da Davenport, così come da noi stessi durante la nostra missione pakistana, un’arma cioè in grado di sviluppare una fonte di calore estremamente elevata tale da riuscire a fondere le rocce ma altrettanto circoscritta da non contaminare e distruggere totalmente la zona interessata.
Ecco la descrizione dell’Agneya presente nel Drona Parva, settimo libro del Mahabharata:
“Un unico proiettile caricato con tutta la potenza dell’universo, una colonna incandescente di fumo e di fiamme, luminosa come diecimila soli, si levò in tutto il suo splendore. Un’arma sconosciuta, un fulmine di ferro, un gigantesco messaggero di morte che ridusse in cenere l’intera razza dei Vrishnis e dei Andhakas”.
Rappresentazione di Agni, dio del fuoco, sopra il suo animale ‘volante’.
Gli effetti descritti non sono quelli di un’esplosione nucleare ma piuttosto quelli di un potente ordigno esplosivo! A tale riguardo vogliamo ricordare come un antichissimo testo indiano, lo Sukra Niti, parli esplicitamente delle modalità e dell’impiego di una “polvere nera” i cui effetti risultano totalmente uguali alla polvere da sparo potenziata!
Esplosione in quota di un missile moderno del tipo Cruise Tomahawk . L’effetto è quello di non lasciare crateri ma di bruciare, fondere e distruggere tutto ciò che si trova nelle sue immediate vicinanze.
I rilevamenti effettuati
Non potevamo andare a Mohenjo Daro senza avere con noi un contatore Geiger, strumento in grado di rilevare la radioattività e fornire stime realistiche dei livelli presenti nel sito. Come si può vedere dalla mappa sotto riportata abbiamo sottoposto non meno di tre punti del complesso archeologico (di cui riporto alcune coordinate GPS) ad una analisi ambientale per cercare di capire se fossero presenti tracce o residui di radioattività così come ipotizzato da Davenport.
Localizzazione GPS dei rilevamenti effettuati tramite contatore Geiger
Per quanto le nostre rilevazioni si siano protratte per diverso tempo i risultati sono stati negativi, i valori rilevati non si discostavano dalla normale radioattività di fondo e neanche le rocce fuse o vetrificate che tappezzavano interamente alcune parti del sito hanno presentato la minima emissione di radioattività (nel prossimo periodo pubblicheremo i valori e le tabelle e le analisi in modo dettagliato).
Rilevazione Geiger, sera del 4 dicembre 2012 a Mohenjo Daro. Il valore di 0,07 µsv/h indica livelli totalmente normali della radioattività ambientale
Altra rilevazione Geiger effettuata la sera del 4 dicembre 2012 a Mohenjo Daro, poco tempo dopo la precedente. Il valore di 0,02 µsv/h indica livelli totalmente normali della radioattività ambientale
Non nego che inizialmente tale esito ha lasciato in me una profonda delusione e amarezza ma ho continuato negli scopi che mi ero prefisso effettuando ulteriori rilevazioni, come la rilevazione del campo magnetico ambientale (totalmente nella norma), e iniziando a studiare il terreno che si estendeva sotto i miei piedi.
Se si fosse trattato di un’esplosione atomica, per quanto siano passati più di 4.000 anni, avremmo comunque ritrovato i segni e le tracce della sua antica presenza.
Un esempio chiarificatore sono le stesse Hiroshima e Nagasaki che, a distanza di 60 anni dalla deflagrazione delle prime bombe atomiche, risultano prive di una radioattività ambientale nociva per l’uomo per quanto esistano alcune zone che presentano ancora valori elevati e dannosi per la salute umana.
Altresì gli stessi campioni fusi e vetrificati avrebbero presentato un pur minimo livello radioattivo indotto dall’ipotetica esplosione atomica.
Anche in questo caso i campioni non presentano nessuna traccia di radioattività!
Nel caso di Hiroshima e Nagasaki le esplosioni avvennero in quota, ad un’altezza di circa 580 metri dal terreno, per cui sullo zenit dell’esplosione non si formò alcun cratere e consequenzialmente le radiazioni si dispersero in maggior misura nell’ambiente circostante piuttosto che interessare e permanere nel terreno.
Effetti di una esplosione nucleare in quota da 200 Kt (kilotoni) e conseguenti danni in linea d’area.
Detto questo però, l’onda generata dall’esplosione e il fallout che ne derivò lasciarono ad Hiroshima e Nagasaki segni indelebili e una contaminazione permanente.
Se a Mohenjo Daro non era avvenuta una ‘esplosione atomica’ era comunque innegabile il fatto che l’intero perimetro dell’area incriminata (epicentro e zone limitrofe) fossero totalmente, completamente, pervase da ogni tipologia di rocce fuse, da mattoni e vasellame vetrificato ed esposto ad una temperatura elevata.
Il fatto curioso, come scrisse Davenport, è che le strutture nelle immediate vicinanze del così detto epicentro sono totalmente inesistenti, si presentano cioè come ‘monticelli’ che solo ad una analisi ravvicinata mostrano la loro natura di mattoni e vasellame rotto e sparso sul terreno.
Alle domande sollevate e ai reperti ritrovati si unisce una nuova scoperta, del tutto inaspettata ed effettuata dopo il nostro ritorno in Italia, una scoperta che sembra ulteriormente avvalorare la possibilità di una esplosione nell’antichità.
Tale evidenza si ricollega direttamente alle tipologie di detriti fusi ritrovati a Mohenjo Daro e si associa alle più moderne tecnologie belliche nonché al residuo di fusione provocato dalle esplosioni ad alta intensità e al calore da esse generato.
Ci riferiamo alle “Trinititi” pietre che costituiscono il residuo fuso e vetrificato originatosi dopo i primi test atomici effettuati nel 1945 negli Stati Uniti, ma altrettanto similari ai residui originati da bombe dall’alto potenziale esplosivo come la BLU-82 (una testata bellica da 6.800 kg).
Un raffronto tra le due tipologie di rocce fuse che lascia senza parole.
Un parallelismo che risulta così evidente da legittimare necessariamente la domanda su cosa realmente fosse avvenuto a Mohenjo Daro 4000 anni fa!
Riteniamo che le descrizioni fornite dagli antichissimi testi sanscriti e riferite alle Tejas Astras, ovvero ad ‘armi ad energia’, costituiscano il punto nodale attraverso cui poter comprendere cosa successe a Mohenjo Daro.
Per quanto la ‘teoria atomica’ sia stata presentata nei decenni come “la” spiegazione della distruzione presente nel sito, in realtà ci viene chiesto semplicemente di spostare il nostro punto di osservazione e direzionarlo su qualcosa di simile, ma non atomico, che verosimilmente distrusse una parte della città!
Ecco alcuni dei campioni di vasellame e rocce fuse fotografati a Mohenjo Daro:
Campione n°1 – Sono visibili sia le rocce vetrificate che quelle fuse con le corrispettive bolle di fusione. (Foto di Enrico Baccarini©)
Campione n°2 – Diverse varietà di reperti rinvenute in un’area campione circoscritta. Si possono vedere cocci di anfore, un mattone vetrificato e doverso tipi di rocce fuse (Foto di Enrico Baccarini©)
Campione n°3 – Un dettaglio della foto precedente con frammenti di vasellame rotto e in primo piano un pezzo di un vaso sottoposto ad un calore elevato con formazione di bolle. (Foto di Enrico Baccarini©)
Campione n°4 – Frammenti vari di vasi fusi da un forte calore. In primo piano in basso si nota l’incavo di una ciotola antica contora e deformata dalla fusione. (Foto di Enrico Baccarini©)
Abbiamo intrapreso il nostro viaggio alla ricerca di risposte e nella speranza di trovare le prove di antiche esplosioni, abbiamo trovato un filo comune che sembra legare la città di Mohenjo Daro, i Vimana e le storie descritte negli antichi testi indiani.
Il viaggio continuerà e approfondiremo molte delle tematiche trattate, per ora ci piace concludere meditando su una frase che scrisse Davenport, “nel passato è sepolta la soluzione per il nostro futuro”.
Forse ristudiando il nostro passato potremo migliorare davvero il nostro futuro, evitare di commettere gli stessi errori e forse anche imparare le lezioni che ci giungono da epoche a noi precedenti, ma che ad oggi non abbiamo voluto ancora veramente ascoltare.
di Enrico Baccarini© per Universo7p