Il mistero dei Moai
Conosciuta anche come Rapa Nui, L’Isola di Pasqua è immersa nell’Oceano Pacifico al largo delle coste del Cile. Il suo nome è dovuto al fatto che l’isola è stata scoperta il giorno di Pasqua del 1722 dall’esploratore Olandese Jacob Roggeveen
Il territorio dell’isola è ricoperto da quattro vulcani, Poike, Rano Kau, Rano Raraku e Terevaka. Per questo motivo l’Isola di Pasqua è molto salvaggia e non si trovano molti animali, se non cavalli, pecore, mucche e maiali importati dalla terraferma. Il mare non è caratterizzato dalla barriera corallina come altre isole del Pacifico. Tuttavia, nelle sue acque vive una grande colonia di capodogli che possono essere osservati dai visitatori dell’isola.
Fra trafficanti di schiavi e missionari religiosi nel giro di un secolo l’isola ha perduto gran parte della sua popolazione e quasi tutto il suo passato.
Oltre ad essere affascinante, quest’isola è anche misteriosa grazie alle statue dei moai, enormi busti monolitici sparsi lungo l’intero territorio. Se ne contano ben 638 fatte con dei materiali vulcanici presenti nelle zone circostanti. Circa 400 statue incomplete si trovano nel cratere Rano Raraku, totalmente abbandonato a se stesso.
Nonostante le ricerche condotte negli ultimi anni il loro scopo non è tuttora noto con certezza.
Alcune statue possiedono sulla testa un cilindro(pukao) ottenuto da un tipo di tufo di colore rossastro, interpretato come un copricapo oppure come l’acconciatura un tempo diffusa tra i maschi. I moai sono alti tra i 2,5 e i 10 metri. Ne esiste uno, incompleto, alto 21m. Quelli di 10 m pesano tra le 75 e le 86 tonnellate.
Sebbene i moai vengano spesso identificati solo con le teste, queste statue hanno spalle, braccia, torsi, che negli anni sono stati sotterrati dalla terra circostante.
Cosa ci fanno tutte quelle statue allineate l’una accanto all’altra? Chi e quando le ha realizzate? Qual è il loro significato?
Una leggenda dell’Isola di Pasqua narra che dal cielo giunsero degli uomini (Tangata manu) uomini che potevano volare grazie a dei carri volanti . Il loro capo si chiamava Makemake e, secondo la mitologia locale, era il creatore dell’umanità, il dio della fertilità e la divinità principale del culto dell’uomo . La sua immagine è stata scolpita su alcune rocce presenti sull’isola. I colossi di pietra si muovevano grazie a una forza misteriosa che solo due sacerdoti erano in grado di controllare. Un giorno, però, i due sacerdoti scomparvero e da lì il lavoro di costruzione delle statue fu sospeso. E’ il motivo per cui una schiera di statue è rimasta incompiuta. Gli studiosi fanno coincidere questo momento con l’anno 1500.
l’Isola di Pasqua veniva chiamata “Te pito te henua” (ombelico del mondo ) dai suoi stessi abitanti che si consideravano gli unici sopravvissuti a una serie di catastrofi naturali che si erano, secondo loro, abbattute sul pianeta terra causata da una forza misteriosa , oggi vivono tra le duemila e le tremila persone. Quasi tutte abitano Hanga Roa, capitale e unica città dell’isola. Qui c’è anche il solo porto attraverso il quale è possibile attraccare.
Altre ipotesi vedono che l’isola di Pasqua è un residuo emerso di Atlantide o di Mu o ancora di Lemuria (analoghi continenti che secondo le leggende antiche, si sono inabissati in tempi remoti) e i MOAI sono la rappresentazione dei suoi originari abitanti o della classe al potere. Secondo una variante di questa teoria, i MOAI rappresentano esseri di un altro mondo che portarono la civiltà al continente perduto prima del diluvio universale. Una civiltà ed un progresso tecnologico dei quali i pochi superstiti in tutto il mondo, fra cui gli isolani di Pasqua, hanno perduto quasi completamente la memoria, conservandone testimonianze sporadiche in manufatti ed edifici antichi di gran lunga più evoluti del livello di conoscenze attualmente in loro possesso. È indubbio che i MOAI ricordino molto l’arte Inca, sia nella struttura che nella lavorazione; è indubbio che gli isolani abbiano la pelle bianca e caratteristiche somatiche sia degli europei che dei polinesiani, sebbene siano sperduti nell’oceano Pacifico. È certo che per la costruzione e la posa in opera di queste grandi statue sia stata necessaria una forte motivazione religiosa ed una struttura sociale organizzata in grado di porre al lavoro molte persone. È altrettanto certo che occorreva possedere una buona perizia tecnica per tagliare la pietra nella cava, scolpirla secondo un preciso progetto, trasportarla nel luogo di posa, quindi issarla e orientarla nella posizione voluta.
Qualcosa deve necessariamente essere accaduto nel passato della storia dell’isola ed in seguito a tale evento, gli isolani debbono aver perduto la loro memoria storico – culturale.
Questa originaria cultura dell’isola di Pasqua prevedeva anche la conoscenza della scrittura, anch’essa perduta e dimenticata, visto che gli indigeni non sono più in grado di decifrare le antiche iscrizioni rongo – rongo sulle tavolette sacre.
Forse però, i sacerdoti locali sono ancora in grado di decifrarle, ma preferiscono custodirne il segreto, visto il divieto assoluto per gli stranieri di ingresso ad alcune grotte sacre ove sono impresse delle iscrizioni. Proprio su questa scrittura risiede il più affascinante dei misteri di Rapa Nui. I suoi geroglifici sono praticamente identici a quelli dell’antica città di Mohenjo-daro, nella lontanissima India. Come si può vedere nell’illustrazione in basso, la somiglianza è tale da escludere una semplice coincidenza e l’India si trova letteralmente dall’altra parte del mondo rispetto all’isola di Pasqua
La totale assenza di documenti scritti o di reperti archeologici utili al fine di svelare l’arcano, complica ulteriormente gli studi di quest’isola misteriosa. Le 26 tavolette ritrovate sull’isola, scritte in una lingua chiamata Rongorongo, lingua sviluppatasi solo sull’Isola di Pasqua, non hanno permesso né di conoscere qualcosa in più della storia dell’isola né tanto meno di poter comprendere molto di quella lingua autarchica chiamata Rongorongo.
Forse con il passare del tempo riusciremo a decifrare i testi incisi nei Moai, dando alcune delle risposte alle nostre domande.
di Francesca Piazza per Universo7p