Il microchip sottocutaneo: 50 mila persone ne fanno già uso
Il microchip sottocutaneo Dopo aver fatto le prove tecniche con i nostri animali domestici, sono pronti per il salto di qualità. Gli increduli avranno modo di ricredersi, infatti I microchip sono parte integrante della vita moderna al punto che oggi nel mondo ci sono tra le 30mila e le 50mila persone taggate con un piccolo microchip sottopelle e in un certo senso ognuno di loro è anche un dispositivo controllato al 100%.
Ma cosa sono i Microchip sottopelle e a cosa servono?
Gli impianti sottopelle sono piuttosto piccoli, della lunghezza di pochi millimetri, e vengono inseriti nei tessuti grassi in pochi minuti. Una volta attivati, vengono letti da radiofrequenze come quelle utilizzate dagli smartphone o dai lettori di carte magnetiche e il loro impiego appare sempre più ampio. Presto, secondo i produttori, ci saranno anche applicazioni mediche: nel microchip sottopelle immagazzineremo informazioni necessarie in caso di interventi d’urgenza, come terapie seguite o condizioni mediche particolari.
La pratica, sottolineano però i critici, può avere implicazioni etiche negative. “L’uso di un tag è accettabile ad esempio per una persona che non può tenere una chiave a causa di un’artrite grave o che ha perso la mano”, spiega ad esempio Arianne Shahvisi della Brighton and Sussex Medical School, “ma se si usano per persone con demenza per trasportare le informazioni che le identificano e per essere sicuri che non perdano le chiavi potrebbe essere un problema, perché il paziente potrebbe non essere in grado di dare il proprio consenso informato”.
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Il primo a riuscire a mettersi un microchip sottopelle fu lo scienziato britannico Kevin Warwick, che nel 1998 si sottopose a un’operazione chirurgica di una ventina di minuti e ne uscì con in corpo un transponder RFID (Radio-Frequency IDentification) che gli permetteva di aprire automaticamente porte e accendere luci: gli bastava muovere la mano dentro cui c’era il microchip. Una sorta di Telepass umano. Di recente Warwick ha scritto un articolo per The Conversation in cui spiega che «negli ultimi anni è venuta fuori una nuova comunità di biohacker, che ha sperimentato i modi in cui il corpo umano può diventare più efficace grazie alla tecnologia». I biohacker sono persone che si comportano come hacker – esperti di tecnologia e informatica che collaborano tra loro e spesso lavorano ai limiti di ciò che è legale – ma lo fanno nei campi in cui si incontrano tecnologia e biologia.
E tu? Saresti disposto a farti innestare il Microchip? Io No, Questo significa addio alla tua privacy!