Molto tempo fa, quando i pianeti del nostro sistema solare erano ancora giovani, Marte era un mondo molto diverso: acqua liquida scorreva in lunghi fiumi che terminavano il loro percorso riversandosi in laghi e mari poco profondi. Poi, un terribile impatto cosmico ha messo fine a tutto questo. La prova sarebbe forte dimorfismo fra gli emisferi settentrionale e meridionale del Pianeta Rosso.
Oggi Marte è un mondo freddo e secco. La sua esile e sottile atmosfera fornisce una copertura scarsa ad una superficie segnata da letti di fiumi asciutti e laghi vuoti.
Se esistono ancora i microbi marziani, probabilmente stanno trascorrendo un’esistenza misera da qualche parte del polveroso sottosuolo marziano. Ma cosa è successo al nostro vicino?
Una sofisticata ricerca condotta dal team di geofisici dell’Eidgenössische Technische Hochschule di Zurigo (ETH), guidati da Giovanni Leone, geologo e vulcanologo planetario, suggerisce che un corpo celeste di grandi dimensioni abbia impattato violentemente sul polo sud del Pianeta Rosso, milioni e milioni di anni fa, quando il Sistema solare viveva la sua infanzia.
La crosta marziana, infatti, risulta essere divisa all’equatore in due zone morfologicamente molto diverse, perfettamente distinte e nettamente separate: i basso-piani dell’emisfero settentrionale relativamente lisci e senza crateri, la maggior parte dei quali giace ad almeno 1000 metri sotto il livello dato e gli altopiani dell’emisfero meridionale, massicciamente craterizzati, che in gran parte si innalzano a più di 2 mila metri sopra il livello dato.
L’ipotesi avanzata dai ricercatori è che un corpo celeste di considerevoli dimensioni, forse una grande cometa o un planetoide vagante, abbia colpito Marte nell’emisfero meridionale.
Come spiega Media Inaf, la simulazione elaborata dai ricercatori svizzeri mostra come questo evento traumatico sarebbe stato capace di generare un oceano di magma che si sarebbe esteso per tutto l’emisfero meridionale marziano.
L’oggetto celeste, in movimento a circa 5 km/s, ha bucato la superficie come fa un cucchiaio con la crema catalana, innescando un’intensa attività vulcanica che ha interessato la geologia marziana per tre miliardi di anni.
Con una massa forse anche superiore a un decimo di quella di Marte, il corpo celeste ha generato energia sufficiente a innescare un processo di cui gli altopiani rocciosi, oggi ben visibili sulla superficie del Pianeta Rosso, sono il risultato finale.
Il forte dimorfismo fra gli emisferi settentrionale e meridionale del pianeta è stato oggetto di altri studi in passato. Il più noto è quello firmato da due ricercatori americani ed è datato 1984, pubblicato da Nature. L’ipotesi, allora, era quella di un impatto sull’emisfero nord.
Questa ipotesi non convince Leone: «Non spiega la distribuzione irregolare dei crateri di origine vulcanica, per lo più diffusi a sud dell’equatore. Il nostro modello è in grado di riprodurre fedelmente l’evoluzione topografica nei due emisferi. È così che siamo arrivati a comprendere la dinamica dell’impatto nella regione polare meridionale, ricostruendo la composizione chimica del corpo che ha impattato il suolo marziano»