Il Gene che gli Anunnaki non diedero all’uomo
Anche se all’uomo venne donata buona parte del corredo genetico degli Anunnaki, che lo fecero a loro immagine e somiglianza anche per quanto riguarda la procreazione, non gli venne trasmesso un tratto genetico: la longevità. Adamo non avrebbe mai dovuto assaggiare il frutto dell’Albero della Vita, che gli avrebbe conferito il dono di lunga vita. Questo punto è espresso chiaramente nella storia sumera di Adapa, l’uomo perfetto creato da Enki:
Le attestazioni letterarie più antiche risalgono ad un testo babilonese del XIV secolo a.C., rinvenuto in Egitto (Tell El-Amarna), mentre le più recenti provengono dalla biblioteca del re neo assiro Assurbanipal, del VII secolo a.C.. Recentemente è stato rinvenuto un analogo testo negli scavi iracheni di Meturan (Tell Haddad) in lingua sumerica, ma non ancora pubblicato.
Secondo il racconto, Adapa ha ricevuto dal padre divino il dono della saggezza, ma non quello della vita eterna. La sua funzione è quella di accudire alla mensa del tempio del dio Ea, di cui è custode e sacerdote, nella città di Eridu (odierna Abu-Shahrain in Iraq), anticamente prospiciente il Golfo Persico, e a tale scopo si dedica quotidianamente alla pesca.
“Un’ampia comprensione egli gli concesse a saggezza [gli aveva dato] […]
Gli aveva dato la Conoscenza;
ma la Vita Eterna non gliela diede.”
L’apparente immortalità degli dèi può essere spiegata prendendo come esempio le mosche che volano in ogni casa; se le mosche potessero parlare, il papà-mosca direbbe al figlio-mosca: “Lo sai, questo uomo è immortale; da quando sono vivo io, non è affatto invecchiato; mio padre mi ha raccontato che suo padre e tutti i nostri antenati – fin dove riusciamo a ricordare – hanno visto quest’uomo così: eterno, immortale!”.
La nostra “immortalità” agli occhi delle mosche è, naturalmente, solo una differenza dei nostri cicli di vita. [La vita biologica degli Anunnaki infatti, segue i cicli orbitali di Nibiru, la cui orbita è lunga ben 3600 anni TERRESTRI].
Se per l’uomo una generazione equivale a vent’anni, in un solo “anno” Anunnaki ci sarebbero state ben 180 generazioni di discendenti dell’uomo. Gli Anunnaki perciò, sarebbero sembrati immortali.
I testi antichi chiariscono che questa longevità non venne trasmessa all’uomo, mentre l’intelligenza sì.
Questo implica che i due tratti, longevità e intelligenza, potevano essere trasmessi, o meno, da coloro che avevano creato geneticamente l’uomo.
La scienza contemporanea conferma che: “Prove raccolte negli ultimi 60 anni suggeriscono che l’intelligenza abbia una componente genetica”, affermava “Scientific American” nel 1989.
L’articolo citava un rapporto di scienziati che avevano stabilito una “stretta correlazione biologica” con le capacità mentali, attribuibili all’eredità genetica.
Aumentano anche le prove relative a una programmazione genetica dei cicli vitali degli organismi viventi. È evidente che le diverse fasi della vita degli insetti e la durata della loro vita sono determinate geneticamente.
Ed è determinata geneticamente anche la morte di molti animali subito dopo l’accoppiamento, ma non dei mammiferi.
Molti altri studi hanno dimostrato che alcuni animali hanno la capacità di riparare geni danneggiati nelle proprie cellule e, quindi, di bloccare o invertire il processo di invecchiamento.
Ogni specie ha chiaramente un periodo di vita determinato dai geni; quello umano si aggira ai 100 anni, ma in un’epoca remota la vita aveva una durata ben maggiore. La Bibbia riconosce che l’umanità, prima del Diluvio, era più longeva.
La vita dei Patriarchi iniziò ad accorciarsi con il trascorrere dei millenni.
La scienza indica l’esistenza di un orologio biologico in tutte le creature, un tratto essenziale, genetico, che controlla la durata della vita di ciascuna specie.
Resta da scoprire quale gene è responsabile della durata della vita, come lo si mette in moto, cosa lo fa funzionare.
Enki doveva essere a conoscenza di queste cose, così quando dovette perfezionare l’Adamo, in grado di riprodursi, gli dette sì l’intelligenza, ma non la longevità racchiusa nei geni degli Anunnaki.
Man mano che l’umanità si allontanava dai giorni della sua stessa creazione, la riduzione del suo ciclo vitale si può considerare quale sintomo della perdita, di generazione in generazione, degli elementi “divini”, mentre riprendeva il sopravvento “l’animale che è dentro di noi”.
L’esistenza, nel nostro corredo genetico, di ciò che alcuni chiamano DNA “nonsense” (segmenti di DNA che sembrano aver perso il proprio obiettivo), è un retaggio della “mescolanza che ci ha dato origine”.
Le due parti indipendenti del cervello, pur se collegate, una più primitiva ed emozionale, l’altra più recente e più razionale, sono un’ulteriore attestazione dell’origine genetica mista dell’umanità
A cura di universo7p
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Complimenti, i vostri articoli sono sempre ben redatti e interessanti, continuate così!