L’analisi del DNA fatte a due teschi antichi cambieranno la storia dell’essere umano.
L’analisi del DNA fatte a due teschi ritrovati negli anni 60-70 in Grecia dimostrano che Risalgono a più di 200 mila anni fa. È la testimonianza più antica che abbiamo delle migrazioni dall’Africa
Una squadra di paleoantropologi ha rivisto i due teschi e li ha ricostruiti in tre dimensioni per analizzare la loro fisionomia in dettaglio. I risultati, pubblicati oggi su Nature , suggeriscono che il cranio più antico e incompleto ha 210.000 anni e proviene da un Homo sapiens e lo rende il membro più anziano della nostra specie mai trovato in Europa.
Neanderthal e Sapiens
Il cranio attribuito al Neanderthal (Apidima 2) dei due è il più ‘giovane’: e mostra caratteristiche riconducibili al più famoso dei nostri cugini appunto (soprattutto per quel che riguarda la conformazione delle ossa della fronte, del naso e della zona intorno agli occhi). L’altro cranio (Apidima 1) invece non presenta caratteristiche attribuibili alla stessa specie in nessuna fase dell’evoluzione. Somiglia piuttosto a un Sapiens, con quel profilo laterale del cranio arrotondato, tipico degli uomini moderni, seppur con tratti arcaici. Anche le analisi di datazione radiometrica, infatti, suggeriscono che sia il più vecchio tra i due: risale a 210 mila anni fa. Le prime tracce mai portate alla luce della nostra specie finora risalgono invece a più di 300 mila anni fa, in Marocco.
Il primo Sapiens in Eurasia e storia da riscrivere?
È probabile, azzardano i ricercatori, che Apidima 1 sia stato uno dei primi uomini moderni. Se così fosse, continuano gli esperti, saremmo di fronte alla più antica testimonianza di Sapiens in Eurasia. Il che significa che i nostri antenati uscirono dall’Africa prima di quanto creduto e quindi questo cancellerebbe gran parte della nostra storia.
I Neanderthal sarebbero arrivati solo dopo, per poi essere rimpiazziati da altre popolazioni più moderne di Sapiens. Quanto suggerito dallo studio non fa che avvalorare l’ipotesi secondo cui ci furono più eventi di dispersione dei nostri avi dall’Africa all’Eurasia, e che non tutti andarono a buon fine, con l’occupazione delle zona raggiunte, scrive Eric Delson della City University of New York e dell’American Museum of Natural History in un pezzo che accompagna il paper sullo stesso numero di Nature.