domenica, Ottobre 6, 2024
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I NEFILIM E LA SOVRANITÀ SULLA TERRA

I NEFILIM E LA SOVRANITÀ SULLA TERRA

Se il Diluvio fu un’esperienza traumatica per il genere umano, non lo fu meno per i Nefilim e gli Anunnaki. Come affermano i testi sumeri, il Diluvio aveva “spazzato via” da un momento all’altro tutto il cammino compiuto in 120 shar. Le miniere sudafricane, le città mesopotamiche, il centro di controllo di Nippur, il porto spaziale di Sippar: tutto era ormai sepolto sotto valanghe di acqua e fango.

Dall’alto  i Nefilim attendevano con impazienza il momento in cui le acque sarebbero calate ed essi avrebbero potuto rimettere piede sulla terraferma. Poi, però, come avrebbero potuto sopravvivere sulla Terra, dal momento che le loro città, tutte le attrezzature erano ormai distrutte, e persino la manodopera – l’umanità – era stata totalmente cancellata?

Quando alla fine, spaventati, esausti e affamati, gruppi di Nefilim scesero a terra sulle vette del “Monte della salvezza”, scoprirono con gran sollievo che in realtà non tutti gli uomini e gli animali erano morti. Persino Enlil, dopo una prima reazione di collera al vedere che le cose non erano andate proprio secondo il suo volere, cambiò ben presto parere.

Di fronte alle gravi difficoltà in cui si trovavano, gli dèi dimostrarono subito un grande spirito pratico: mettendo da parte tutti i pregiudizi riguardo all’uomo, si rimboccarono le maniche e insegnarono rapidamente agli uomini rimasti tutto ciò che sapevano sull’arte di coltivare la terra e allevare il bestiame.

Poiché era chiaro che la sopravvivenza tanto dei Nefilim quanto del genere umano che già andava moltiplicandosi velocemente dipendeva soprattutto da un rapido sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, i Nefilim non persero tempo e fin dall’inizio sfruttarono tutte le conoscenze scientifiche di cui disponevano. Ignari delle informazioni che potevano derivare dai testi biblici e sumerici, molti scienziati, studiando le origini dell’agricoltura, sono giunti alla conclusione che la sua “scoperta” da parte dell’umanità, avvenuta circa 13.000 anni fa, è da mettere in relazione con la mitezza climatica che seguì la fine dell’ultima era glaciale. Molto prima degli studiosi moderni, però, anche la Bibbia stabiliva un collegamento tra gli inizi dell’agricoltura e la fine del Diluvio.

“Semina e mietitura” vengono descritte dalla Genesi come doni divini concessi a Noè e alla sua discendenza come parte del patto stipulato tra la Divinità e il genere umano dopo il Diluvio:

Perché fin quando esisterà la Terra, non verranno mai meno la semina e la mietitura, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte.

Avendo ricevuto in dono la conoscenza dell’agricoltura, «Noè fu il primo contadino, e piantò una vigna». Egli divenne dunque il primo agricoltore dell’era post-diluviana, il primo a impegnarsi volontariamente in quella complessa attività che è la coltivazione della terra. Oltre all’agricoltura, secondo i testi sumerici, gli dèi concessero all’umanità il dono di saper allevare gli animali. Gli studiosi moderni, tuttavia, hanno appurato che la pratica agricola comparve sì per la prima volta nell’area medio orientale, ma non, come ci si aspetterebbe, nelle fertili pianure e vallate della regione, bensì tra le montagne che orlavano a semicerchio le pianure. Perché, dunque, i primi agricoltori evitarono le terre piane e si concentrarono nelle zone montuose, certamente meno agevoli? L’unica spiegazione plausibile è che, al tempo in cui nacque l’agricoltura, circa 13.000 anni fa, le terre basse non erano abitabili perché risentivano ancora dei postumi del Diluvio. Passarono millenni prima che pianure e vallate fossero abbastanza asciutte da permettere l’insediamento da parte di genti che provenivano dalle montagne circostanti la Mesopotamia.

E in effetti è proprio questo che ci dice la Genesi: molte generazioni dopo il Diluvio,genti provenienti “da est” – cioè dalle regioni montuose a oriente della Mesopotamia – «trovarono una piana nella terra di Shin’ar [Sumer] e vi si insediarono».

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I testi sumerici ci dicono che Enlil diffuse i cereali dapprima “nella regione collinare” – e cioè tra le montagne, non in pianura – e che rese possibile la coltivazione tra i monti tenendo lontane le acque del Diluvio. «Fu come se sbarrasse le montagne con una porta». Il nome di questa terra montuosa a est di Sumer, E.LAM, significava “casa dove germinava la vegetazione”. In seguito, due degli aiutanti di Enlil, Ninazu e Ninmada, estesero la coltivazione dei cereali anche alle pianure, in modo che, alla fine, «Sumer, la terra che non conosceva il grano, arrivò a conoscerlo». Gli studiosi hanno ormai accertato che l’agricoltura nacque con l’addomesticamento di un cereale selvatico dal quale si ricavarono frumento e orzo; tuttavia non riescono a spiegarsi come mai già i primi cereali (per esempio quelli trovati nella grotta di Shanidar) fossero già uniformi e altamente specializzati.

terra sumer

La natura richiede migliaia di generazioni di selezione genetica perché una specie possa acquisire un livello minimo di sofisticazione; in questo caso, invece, non c’è alcuna traccia di un processo graduale e prolungato. Si tratta di una sorta di “miracolo” di genetica botanica, spiegabile solo se accantoniamo il concetto di selezione naturale e pensiamo invece a una manipolazione artificiale. La spelta, un tipo di frumento a grano duro, rappresenta un mistero ancora più grande.

Essa è infatti il prodotto di “una strana mescolanza di geni botanici”, non deriva dallo sviluppo di un’unica fonte genetica, né da una mutazione di essa: è proprio il risultato di un miscuglio di geni provenienti da diverse piante. Un discorso analogo vale anche per gli animali: come è possibile che l’uomo, in poche migliaia di anni, sia riuscito a modificare così profondamente gli animali attraverso l’addomesticamento?

Gli studiosi moderni non sanno risolvere questi enigmi, né, più in generale, sanno spiegare come mai il semicerchio montuoso dell’antico Medio Oriente divenne una fonte continua di varietà sempre nuove di cereali, piante, alberi, frutti, ortaggi e animali domestici.

I Sumeri, invece, avevano una risposta per tutto questo. I semi, per loro, erano un dono mandato sulla Terra da Anu: frumento,orzo e canapa giunsero sulla Terra dal Dodicesimo Pianeta. L’agricoltura e l’allevamento di animali domestici furono doni concessi al genere umano rispettivamente da Enlil e da Enki. Non soltanto la presenza dei Nefilim, ma anche il periodico avvicinarsi del Dodicesimo Pianeta alla Terra sembra stare alla base delle tre fasi cruciali della civiltà umana dopo il Diluvio: l’avvento dell’agricoltura (intorno all’11000 a.C), la cultura neolitica (circa 7500 a.C.) e l’improvvisa civiltà sorta verso il 3800 a.C. si verificarono tutti a intervalli di circa 3.600 anni. Si direbbe che i Nefilim, nel passare all’uomo la conoscenza “a piccole dosi”, lo fecero a intervalli che corrispondevano al periodico riavvicinarsi del  Pianeta Nibiru alla Terra; sembra quasi che, prima di far avanzare il genere umano di un altro gradino, fosse necessario un incontro preventivo fra tutti gli “dèi”, incontro che, come sappiamo, poteva avvenire solo quando il Dodicesimo Pianeta si trovava più vicino alla Terra. E in effetti, un testo chiamato Epica di Etana ci conferma che queste “riunioni” avvenivano davvero.

nibiru

Nei giorni che seguirono il Diluvio, I grandi Anunnaki che decretano il fato si sedettero e si scambiarono opinioni su quella terra. Essi, che crearono le quattro regioni, che fondarono gli insediamenti, che sovraintendevano alla terra, erano troppo in alto per l’umanità.
I Nefilim, dunque, erano giunti alla conclusione che avevano bisogno di un intermediario tra loro stessi e la massa degli umani. Come ponte tra gli dèi (elu in accadico) e l’umanità introdussero la figura di un “sovrano” sulla Terra: un essere umano che avrebbe avuto il compito di assicurare agli dèi i servigi degli uomini e di far arrivare al popolo gli insegnamenti e le leggi degli dèi. Un testo che tratta di questo argomento afferma che, prima che venisse posta la prima corona sulla testa di un umano, la corona, lo scettro e anche il pastorale – simbolo di giustizia e rettitudine – «si trovavano davanti ad Anu, nel Cielo».

Quando poi gli dèi presero la loro decisione, «la Sovranità  scese dal Cielo» sulla Terra. Tanto i testi sumerici quanto quelli accadici affermano che i Nefilim mantennero comunque la “signoria” sulle terre, e che anzitutto ordinarono all’umanità di ricostruire le città nell’esatto punto e con la stessa pianta che avevano prima di essere travolte dal Diluvio: «I mattoni di tutte le città siano posati nei luoghi consacrati, che tutti i mattoni siano posati nei luoghi santi». Eridu fu la prima a essere ricostruita. Quindi i Nefilim aiutarono il popolo a progettare e costruire la prima città reale, e la benedirono. «Possa questa città essere il nido, il luogo dove l’umanità potrà riposare. Possa il re essere un Pastore».

La prima città regale dell’umanità, ci dicono i testi sumerici, fu Kish. «Quando la Sovranità scese di nuovo dal Cielo, essa fu a Kish. Gli elenchi sumerici dei re sono purtroppo alquanto danneggiati e perciò non conosciamo il nome del primissimo re che regnò sulla Terra. Sappiamo, però, che esso fu l’iniziatore di lunghissime linee dinastiche che ebbero sede in città diverse: da Kish a Uruk, Ur, Awan, Hamazi, Aksar, Akkad, fino ad Assur, Babilonia e alle capitali più recenti.

Anche la biblica Tavola delle Nazioni parla di Nimrud – il patriarca dei regni di Uruk, Akkad, Babilonia e Assiria – come di un discendente di Kish. Essa racconta la diffusione del genere umano, le sue terre e i suoi regni, rapportandola alla divisione dell’umanità in tre rami, dopo il Diluvio.

Discendenti dai tre figli di Noè, da cui presero il nome, i tre popoli erano quelli di Sem, che abitavano in Mesopotamia e nelle terre del Vicino Oriente; di Cam, che abitavano in Africa e parte dell’Arabia; e di Jafet, gli indoeuropei stanziati in Asia Minore, Iran, India ed Europa. Questi tre ampi raggruppamenti di popoli erano senza dubbio tre delle “regioni” la cui colonizzazione fu oggetto di discussione tra i grandi Anunnaki elohim. Ognuno dei tre fu assegnato a una delle divinità principali.

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anunnaki

Una di queste era, naturalmente, Sumer, la regione del popolo semitico, il luogo dove sorse la prima grande civiltà dell’uomo. Anche le altre due divennero però culla di fiorenti civiltà. Intorno al 3200 a.C. – circa mezzo millennio dopo la fioritura della civiltà sumerica – i concetti di Stato, di sovranità, di civiltà fecero la loro comparsa nella valle del Nilo, costituendo il punto di partenza di quella che sarebbe diventata la grande civiltà egizia. Fino a una cinquantina di anni fa non si sapeva nulla della prima grande civiltà indoeuropea. Oggi, invece, è ormai accertato che una civiltà decisamente avanzata, con grandi città e fiorenti attività agricole e commerciali si formò in epoca antichissima nella valle dell’Indo. Essa nacque, secondo gli studiosi, circa mille anni dopo l’inizio della civiltà sumerica.

Antiche testimonianze scritte e prove archeologiche attestano gli stretti legami culturali ed economici tra queste due civiltà sorte nelle valli di due grandi fiumi e la più antica civiltà sumerica. Più specificamente, anzi, quasi tutti gli studiosi sono ormai convinti che le civiltà del Nilo e dell’Indo non solo erano legate all’antica civiltà mesopotamica, ma addirittura derivavano da questa. Si è scoperto, per esempio, che i più imponenti monumenti dell’antico Egitto, le piramidi, sotto una copertura di pietra non erano altro che “simulazioni” degli ziggurat mesopotamici; e vi è ragione di credere che l’ingegnoso architetto che progettò le grandi piramidi e ne supervisionò la costruzione fosse un sumerico venerato come un dio (figura 162).

L’antico nome con cui gli Egizi chiamavano il loro territorio era “Terra alzata”, perché, in origine, quando “un dio molto potente arrivò nei tempi antichi”, trovò la loro terra sepolta sotto una coltre di acqua e fango. Intraprese allora una grandiosa opera di bonifica, “alzando” letteralmente l’Egitto dallo strato d’acqua.

La “leggenda” descrive con chiarezza la valle del Nilo sommersa dopo il Diluvio; e si può dimostrare che questo dio antico altri non era che Enki, il “capo ingegnere” dei Nefilim.

Quanto ai popoli della valle dell’Indo, sebbene se ne sappia ancora relativamente poco, è certo che anch’essi veneravano il numero dodici come supremo numero divino; che raffiguravano i loro dèi come esseri dalle sembianze umane con in testa copricapi ornati di corna; e che adoravano il simbolo della croce – il segno, cioè, del Dodicesimo Pianeta

Se dunque queste due civiltà erano entrambe di origine sumerica, perché avevano lingue diverse? La risposta della scienza è che, in realtà, le loro lingue non erano affatto diverse. Fin dal 1852 il reverendo Charles Foster (The One Primeval Language, «La vera e unica lingua primordiale») dimostrò che tutte le antiche lingue fino a quel momento decifrate, compreso l’antico cinese e altre lingue dell’Estremo Oriente, derivavano da un’unica fonte, che in seguito si rivelò essere il sumerico.

Pittogrammi simili avevano non soltanto significati simili – il che poteva essere una coincidenza logica – ma anche gli stessi significati multipli e persino gli stessi suoni fonetici: tutto ciò non può che indicare un’origine comune. Più recentemente, gli studiosi hanno dimostrato che le prime iscrizioni egizie utilizzavano una lingua che rappresentava chiaramente una tappa evolutiva di una scrittura precedente: l’unico luogo dove una lingua scritta aveva avuto uno sviluppo precedente era Sumer.

Abbiamo così un’unica lingua scritta che per qualche ragione si differenziò in tre lingue: mesopotamico, egizio/camitico e indoeuropeo. Una tale differenziazione potrebbe essersi prodotta da sé, nel tempo, a causa della distanza geografica tra le regioni interessate. E tuttavia i testi sumerici dicono che essa avvenne come risultato di un preciso atto volontario degli dèi, avviato ancora una volta da Enlil. I racconti sumerici sull’argomento riecheggiano il ben noto episodio biblico della Torre di Babele, secondo il quale un tempo «tutta la Terra usava la stessa lingua e le stesse parole».

Dopo essersi stanziati a Sumer, però, gli uomini cominciarono a imparare l’arte di costruire edifici e città, elevarono alte torri (ziggurat) e progettarono di costruire uno shem e una rampa di lancio per esso. Perciò «il Signore confuse la lingua della Terra». La bonifica dell’Egitto e il suo “sollevamento” dalle acque fangose, le prove linguistiche e il contenuto dei testi sumerici e biblici rafforzano la nostra conclusione che le due civiltà satelliti non sorsero per caso; al contrario, la loro nascita fu progettata e avviata per decisione dei Nefilim. Temendo, evidentemente, una razza umana unificata per cultura e obiettivi, i Nefilim adottarono la politica imperiale: «Divide et impera» («Dividi e governa»). In effetti, mentre l’umanità stava raggiungendo livelli culturali che la portavano addirittura a tentativi di volo – dopodiché «qualunque cosa essi vorranno fare non sarà più impossibile per loro»

Nel III millennio a.C, nipoti e pronipoti, per non parlare degli umani di discendenza divina, si accalcavano ormai attorno agli antichi, grandi dèi fino a soffocarli. L’aspra rivalità tra Enlil ed Enki fu ereditata dai loro principali figli, e ne seguirono feroci lotte per la supremazia.

Anche i figli di Enlil – come abbiamo visto nei capitoli precedenti – combatterono fra loro, come del resto fecero quelli di Enki. Analogamente a quanto sarebbe avvenuto in seguito, nella storia documentata, i sovrani cercarono di assicurare la pace tra i loro figli dividendo le terre tra gli eredi. In almeno un caso conosciuto, uno dei figli (Ishkur/Adad) fu deliberatamente allontanato da Enlil e divenne la divinità principale della Terra delle Montagne. Con il passare del tempo, gli dèi divennero veri sovrani, ognuno gelosamente a guardia del territorio, dell’attività o della professione che gli erano stati assegnati. I re umani erano degli intermediari tra gli dèi e l’umanità che via via cresceva e si diffondeva.

Le affermazioni dei re antichi secondo le quali quando andavano in guerra, conquistavano nuove terre o soggiogavano popoli lontani lo facevano “per ordine del mio dio” non vanno prese alla leggera: dai testi, infatti, sappiamo che era davvero così. Gli dèi continuarono ad occuparsi di tutto ciò che aveva a che fare con gli affari esteri, poiché queste faccende coinvolgevano altri dèi in altri territori. E, naturalmente, avevano sempre l’ultima parola in materia di guerra e di pace. Con la proliferazione di popoli, stati, città e villaggi, divenne necessario trovare il modo di ricordare a ogni popolo qual era il suo particolare dio, il suo signore.

Nell’Antico Testamento si avverte un’eco di questo problema quando si invoca la necessità che la gente veneri il proprio dio e «non si prostituisca ad altri dèi».

La soluzione fu quella di fondare più luoghi di culto, collocando in ognuno il simbolo e le immagini degli dèi “giusti”. Era così cominciata l’era del paganesimo.
Dopo il Diluvio, ci informano i testi, i Nefilim tennero lunghe riunioni per decidere del futuro di dèi e uomini sulla Terra. Il risultato fu la creazione di “quattro regioni”, tre delle quali – Mesopotamia, valle del Nilo e valle dell’Indo – furono abitate dall’uomo. La quarta regione era “sacra” – un termine che originariamente significava “dedicato, riservato”. Dedicata, dunque, ai soli dèi, era una “terra pura”, un’area alla quale non ci si poteva avvicinare senza autorizzazione; se qualcuno vi fosse entrato, sarebbe andato incontro a una rapida morte attraverso “armi terribili” impugnate da feroci guardiani.

Questa regione si chiamava TIL.MUN (letteralmente, “il luogo dei missili”) ed era il posto dove i Nefilim avevano ricostruito la loro base dopo che quella di Sippar era stata spazzata via dal Diluvio. Di nuovo la regione fu posta sotto il comando di Utu/Shamash, il dio preposto ai raggi fiammeggianti. Antichi eroi come Gilgamesh cercarono di arrivare a questa “Terra della Vita” per poter essere trasportati, a bordo di uno shem o di un’Aquila, alla dimora celeste degli dèi. Ricordiamo la supplica di Gilgamesh a Shamash:

Fammi entrare nella Terra, fammi innalzare il mio Shem… Per la vita della dea madre che mi partorì, del puro, fedele re, mio padre – guida i miei passi verso quella Terra.

 

Leggende antiche, ma anche avvenimenti storicamente accertati, richiamano gli incessanti sforzi dell’uomo per “raggiungere quella terra”, trovare la “pianta della vita”, ottenere la beatitudine eterna tra gli dèi del Cielo e della Terra. Questo desiderio è il fulcro di tutte le religioni che affondano le loro radici a Sumer: la speranza che, come premio per una vita vissuta all’insegna della giustizia e della rettitudine, vi sia un aldilà in una divina “dimora celeste”. Ma dove si trovava questa terra così sfuggente, che fungeva da legame tra uomini e dèi? Si può rispondere a questa domanda. Le indicazioni non mancano. Ma la risposta implica altre domande. Dopo gli avvenimenti narrati in questo articolo, si è venuti in contatto con i Nefilim altre volte? Che cosa succederà quando si ripresenteranno di nuovo? E se davvero i Nefilim furono gli “dèi” che “crearono” l’uomo sulla Terra, fu soltanto l’evoluzione, là sul Dodicesimo Pianeta, a creare i Nefilim?

A cura di Universo7p

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